Libia, alta tensione fra la Turchia e il GNA di Haftar dopo il sequestro di un cargo turco 

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
09 Dicembre 2020 10:00
Libia, alta tensione fra la Turchia e il GNA di Haftar dopo il sequestro di un cargo turco 

Alta tensione tra la Turchia ed il GNA sotto il comando del generale Khalifa Haftar. Una nave cargo turca diretta verso il porto libico di Misurata è stata bloccata da un gommone delle forze fedeli all’uomo forte della Cirenaica. La nave fermata lunedì era passata abbastanza vicino dalla costa della Cirenaica, una zona che Haftar da tempo ha dichiarato zona di guerra e in cui si sente in diritto di controllare il traffico commerciale. Le autorità marittime libiche hanno intimato il comandante del cargo, una portacontainer con 17 membri di equipaggio di cui 9 turchi, a far rotta verso il porto di Ras al Hilal.  Il portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, ha dichiarato che la nave “Mebruka”, battente bandiera giamaicana ma di proprietà turca, “era entrata in un'area interdetta al traffico navale non autorizzato e non ha ottemperato all'ordine di attracco nel porto di Ras al-Hilal”. Violazioni che hanno portato all'intervento delle forze di Haftar, “che hanno effettuato un'ispezione a bordo, che ha rivelato la presenza di un carico di droga, ma non di armi”.

 I media turchi invece replicano con la versione degli armatori turchi, che indicano nel carico della nave generi alimentari e altri carichi perfettamente legali, tutti beni diretti alla città di Misurata, forte alleata del governo di Ankara. Il Ministero degli Esteri turco ha condannato “con la massima fermezza il fermo della nave: ricordiamo ancora una volta che se gli interessi turchi in Libia verranno presi di mira ci saranno delle gravi conseguenze”. Per ritorsione, nelle ultime ore sono stati segnalati sorvoli di aerei militari turchi nella regione di Sirte, l’area in cui passa la linea del cessate il fuoco fra le forze dello stesso Haftar e le milizie fedeli al governo di Tripoli, sostenute dalla Turchia del “califfo” Recep Tayyip Erdoğan che ha chiare mire espansionistiche nel Mediterraneo.

(In foto di copertina da sx Khalifa Haftar e Recep Erdogan).   La Turchia dal novembre 2019 ha siglato due accordi con il governo libico di Tripoli. Il primo per delimitare i confini marittimi, mentre il secondo stabilisce forme di cooperazione militare tra Ankara e Tripoli. E questo secondo accordo ha dato il via alla importante operazione militare con cui la Turchia di fatto ha salvato il governo di Fayez Serraj dall’assalto della milizia di Haftar e dei suoi alleati. Dopo aver attaccato Tripoli nella primavera del 2019, nel giugno del 2020 il generale Haftar ha cessato l’assedio alla capitale e ha fatto indietreggiare le sue truppe verso la città di Sirte, a metà della costa fra Tripoli e Bengasi. Quella che si sta giocando in Libia, al di là dei tentativi di pacificazione fra le parti, è una vera guerra per conto terzi da parte delle potenze che vogliono controllare il Mediterraneo e nel caso specifico, attraverso importanti società nazionali, gli importanti  giacimenti energetici libici.

Da una parte la Turchia (ma anche l’Italia visto il recente accordo di cooperazione nell’ambito della Difesa stipulato qualche giorno fa a Roma) che sostengono il GNA di Tripoli (riconosciuto dalla comunità internazionale). Dall’altra il “ribelle” Khalifa Haftar sostenuto da Egitto, Emirati Arabi, Russia e anche dalla Francia che ha interessi tramite la Total. Insomma un bel rompicapo. Tutti hanno fretta anche perché nei prossimi mesi con l’arrivo alla Casa Bianca di John Biden gli Stati Uniti potrebbero tornare (dopo la fase non interventista di Donald Trump) prepotentemente sulla scena del Mediterraneo con un intervento diretto, e allora le cose potrebbero davvero cambiare, per tutti.                   Ricordiamo che Khalifa Haftar controlla quella parte della Libia, la Cirenaica appunto, dove al momento, nel carcere di el Kuefia, a 15 km sudest da Bengasi, sono detenuti  diciotto  pescatori (otto italiani, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani) che lo scorso primo settembre era stati sequestrati a 35 miglia dalle coste libiche, in acque internazionali, insieme ai due motopesca “Medinea” e Antartide”.  Francesco Mezzapelle       

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