Vito Nicastri, il “re dell’eolico” ”amico” di Matteo Messina Denaro

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
19 Giugno 2019 10:45
Vito Nicastri, il “re dell’eolico” ”amico” di Matteo Messina Denaro

Nei giorni scorsi abbiamo dato la notizia dell’arresto di Francesco Paolo Arata, ex consulente per l’Energia del ministro Matteo Salvini, con l’accusa di “intestazione fittizia, corruzione e autoriciclaggio”. La Procura di Palermo e la Dia accusano Arata di rapporti d'affari e relazioni spregiudicate con Vito Nicastri, anche per lui scattato il mandato d’arresto, il “re dell’eolico” vicino all’entourage del latitante Matteo Messina Denaro. Com'è noto, e come emerge in numerosi procedimenti penali pendenti presso il Tribunale di Palermo e presso altre Autorità giudiziarie, il settore delle energie rinnovabili è stato oggetto in tempi recenti di particolari attenzioni da parte di Cosa Nostra e degli imprenditori a questa vicini e/o contigui.

Detta confluenza di interessi, da parte di più articolazioni mafiose, è stata plasticamente rappresentata dal suo capo assoluto, Salvatore Riina, il quale durante la sua detenzione nel carcere milanese di Opera, nell'affrontare temi e vicende relative ad altre questioni criminali, commentava già nel 2013 con il suo interlocutore la decisione di speculare nel settore eolico da parte del latitante Matteo Messina Denaro, reo a dire del Riina di tralasciare gli affari tradizionalmente oggetto delle attività criminale di Cosa Nostra e di dedicarsi ai "pali", figura retorica utilizzata dal boss per indicare attività imprenditoriale riferibile al settore dell'eolico.

“Era dunque assolutamente prevedibile –Come viene evidenziato dall’Ordinanza di applicazione di misure cautelari e contestuale Decreto di sequestro preventivo  emessa dalla Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo- che in ogni affare che dovesse e potesse interessare tale settore venisse coinvolto proprio Vito Nicastri. Costui, infatti, oltre ad avere un'indubbia competenza ed abilità in tale settore, è un imprenditore in passato condannato in via definitiva per i reati di corruzione e truffa aggravata, commessi agli inizi degli anni 2000 proprio in relazione ad iniziative imprenditoriali nel settore delle rinnovabili; poi, in ragione anche dei suoi datati rapporti con l'organizzazione mafiosa, gli è stata applicata, nel 2013, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, nonché quella reale della confisca - preceduta da una serie di sequestri eseguiti già nel 2010 - di un ingentissimo patrimonio”. Inoltre, le indagini svolte nel presente procedimento avrebbero ulteriormente dimostrato che, oltre alla plurima creazione illecita di società dietro cui celarsi e continuare ad operare occultamente, Vito Nicastri, anche attraverso il suo prestanome Arata, intesseva una fitta rete di relazioni con dirigenti e politici regionali al fine di ottenere (in un caso anche dietro versamento di denaro) corsie preferenziali e trattamenti di favore nel rilascio di autorizzazioni e concessioni necessarie per operare nel settore.

Inoltre, il sorvegliato speciale alcamese, oltre a spendere la propria competenza tecnica nel settore delle rinnovabili e le sue conoscenze nei gangli amministrativi, avrebbe fatto affidamento sulla importante rete di rapporti istituzionali facente capo ad Paolo Arata. Quest'ultimo avrebbe fatto tesoro della sua precedente militanza politica, in Forza Italia, per trovare canali privilegiati di interlocuzione con esponenti politici regionali siciliani ed essere introdotto negli uffici tecnici incaricati di valutare, in particolare, i progetti relativi al "bio-metano".

Dalle attività di indagine, infine, è emerso che Arata avrebbe portato in dote alle iniziative imprenditoriali con Nicastri gli attuali influenti contatti con esponenti del partito della Lega, effettivamente riscontrati e spesso sbandierati dallo stesso Arata e di cui informava puntualmente  Nicastri. Tale complesso e articolato contesto, nell'ambito del quale iniziano e si sviluppano le indagini della D.I.A., si è ulteriormente arricchito allorquando nel marzo del 2018, Vito Nicastri veniva raggiunto da misura coercitiva in carcere disposta dal GIP di Palermo per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori (e terreni), commessi negli anni dal 2012 al 2014 proprio durante la sottoposizione alla misura di prevenzione personale.

Per tali reati Nicastri, unitamente ad altri coimputati, è tutt'oggi sottoposto a misura cautelare e imputato nel giudizio abbreviato pendente innanzi al GUP di Palermo. Il concorso di Nicastri all'associazione mafiosa, in quel procedimento, è consistito nell'aver realizzato speculazioni su terreni agricoli con il contributo, e in favore, di appartenenti al sodalizio mafioso, facendo loro guadagnare somme di denaro, in parte destinate anche al circuito associativo facente capo al latitante Matteo Messina Denaro.

Il legame tra Vito Nicastri e Matteo Messina Denaro (vedi foto collage di copertina: da sx  identikit di Matteo Messina Denaro e Vito Nicastri con sfondo parco eolico) è peraltro, è emerso anche dalle dichiarazioni rese dal pluripregiudicato mafioso mazarese Giuseppe Sucameli (che ha lavorato, fino al suo fermo, presso l’ufficio tecnico del Comune di Mazara) in merito ad operazioni speculative, risalenti agli anni 2006-2007 e sempre nel campo delle energie rinnovabili, condotta dal Nicastri che si vantava, in quell'occasione, di avere l'appoggio dell’ “amico” di Castelvetrano, riferendosi molto probabilmente al superlatitante ritenuto il capo di “cosa nostra” Inoltre, le indagini sino ad ora svolte hanno pure consentito di accertare che alcuni progetti imprenditoriali di Vito Nicastri lo avrebbero certamente reso figura centrale nel settore delle energie rinnovabili In Sicilia, ciò è confermato da alcune tappe salienti della sua “carriera” ricostruite dal Tribunale di Palermo Vito Nicastri ha iniziato la sua attività imprenditoriale negli anni '80, prima quale socio di cooperativa agricola e poi, unitamente ai fratelli Roberto e Nicolò, quale elettricista-idraulico, con la costituzione di alcune aziende che operavano per la installazione e riparazione di impianti, per poi riconvertirsi negli anni '90 al campo della climatizzazione e dei primi impianti elettrici da fonte solare.

Nel giro di poco tempo “l’elettricista di Alcamo” diventa il “Re dell’eolico”. Un boom che non passa inosservato anche all’estero, tanto che il Financial Times gli dedica un’intera pagina definendolo il “signore del vento”. Ma con il successo iniziano i problemi con la giustizia. Nei confronti di Nicastri è stata emessa, nel 1997, una sentenza di applicazione della pena su sua richiesta, a seguito di molteplici interrogatori nei quali aveva confessato e analiticamente illustrato il sistema di pagamento di tangenti che vedeva coinvolti imprenditori, politici e funzionari regionali, in un sistema corruttivo (si calcolarono circa 3 miliardi di lire di tangenti) fondato su una sopravalutazione del costo degli impianti fotovoltaici per la creazione di fondi occulti.

Nel corso degli anni, Vito Nicastri e suoi collaboratori, ancora attuali (come il fratello Roberto, Francesco Impastato, e Antonino Voi), sono stati ripetutamente sottoposti ad indagini da parte di varie Autorità giudiziarie, tutti per delitti commessi ai danni dello Stato, reati tributari, contro la pubblica amministrazione, vicende tutte in qualche modo collegabili allo sviluppo di progetti relativi a fonti di energia alternativa. Negli anni 2005/2006, Vito Nicastri, pur non indagato, è stato protagonista di un affare portato avanti in stretto collegamento con esponenti mafiosi, nell'ambito dell'operazione denominata "Eolo", in relazione alla quale ha reso di recente dichiarazioni il pregiudicato mafioso mazarese Giuseppe Sucameli.

Nicastri, attraverso un'azienda a lui riconducibile, la Eolica del Vallo s.r.l., rilevò due società in contenzioso tra loro (Enerpro e s.r.l. e Sud Wind s.r.l.) per la realizzazione di un parco eolico nel territorio di Mazara del Vallo, una delle quali, la “Sud Wind S.r.l.”, è risultata essere al centro dei favori e degli interessi della locale famiglia mafiosa. In effetti, le indagini svelarono l'esistenza di un vero e proprio accordo tra politici mazaresi ed esponenti della famiglia mafiosa mazarese, che era intervenuta nell'affare (con i suoi esponenti locali Giovan Battista Agate e Antonino Cuttone), al fine di promuovere intese tra vari imprenditori titolari di imprese operanti nel settore dell'energia eolica (appunto “Sud Wind s.r.l.

e Enerpro s.r.l.), con l'intento di garantire all'organizzazione il controllo dell'affidamento dei lavori necessari (scavi, movimento terra, fornitura di cemento e di inerti, tradizionalmente appannaggio delle imprese mafiose) ad imprese di riferimento dell'organizzazione stessa. Come ricostruito incidentalmente dalle sentenze definitive, rilevate entrambe le società concorrenti, Vito Nicastri sceglieva imprese mafiose per l'esecuzione dei lavori connessi alla realizzazione dei parchi eolici e assicurava elargizioni di denaro (per centinaia di migliaia di euro) a politici, poi emersi in stretta contiguità con “cosa nostra”, sotto forma di sponsorizzazione all'associazione sportiva Mazara Calcio.

Nello stesso periodo, ovvero negli anni 2004/2005, vi erano anche altri impianti eolici in fase di progettazione nel territorio di Mazara del Vallo. Tra questi anche quello della società Fera e quello portato avanti dall'imprenditore salemitano Melchiorre Saladino, che sarebbe stato “sponsorizzato” da Giovan Battista Agate e Antonino Cuttone. Quest’ultimo impianto doveva sorgere nella stessa zona di quello di Nicastri e dunque erano in competizione tra loro. Alla fine, il progetto di Nicastri prevalse su quello di Saladino in quanto formalmente in regola sotto il profilo amministrativo-burocratico.

Pertanto si tenne nel Comune di Mazara del Vallo una riunione anche per trovare l'accordo per poter realizzare un unico impianto eolico che comprendesse i due progetti. Nel corso di alcuni incontri privati successivi Nicastri avrebbe ribadito che lo stesso “amico” di Castelvetrano sarebbe stato contento della riuscita dell'affare che stava portando avanti in tema di eolico; così il mandamento mafioso mazarese favorì il progetto di Nicastri. Ulteriori elementi che dimostrerebbero la vicinanza dell'imprenditore alcamese agli ambienti mafiosi si ricavarono da un “pizzino” (vedi foto n.2) rinvenuto il 5 novembre 2007 presso il covo di Giardinello del boss mafioso Salvatore Lo Piccolo, capo del mandamento palermitano di Tommaso Natale-San Lorenzo, nonché capo emergente di “cosa nostra” che negli ultimi anni aveva creato una solida alleanza con Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro.

Gli accertamenti di polizia giudiziaria riscontrarono che effettivamente le società di Vito Nicastri erano impegnate nello sviluppo di numerosi ed ambiziosi progetti di parchi eolici in partnership con l’imprenditore messinese Mario Giovanni Scinardo, espressione imprenditoriale della famiglia mafiosa di Mistretta, capeggiata da Sebastiano Rampulla, con il capo cosca catanese Vincenzo Maria Aiello, affiliato al clan Santapaola-Ercolano. Nelle iniziative imprenditoriali sviluppate in Calabria, Nicastri è entrato in contatto con esponenti della ndrangheta calabrese della fascia ionica della provincia reggina – Platì, Africo e San Luca - organici alle locali "ndrine", attraverso una società allo stesso riconducibile, la “Seneca Srl”.

Infatti, la citata azienda aveva stipulato nel 2010 vari atti di acquisto di diritti di superficie con esponenti delle famiglie dei pregiudicati Giuseppe Barbaro di Platì, di Sebastiano Mammoliti e di Domenico e Francesco Nirta di San Luca ed altri. Nel 2013 la Dia gli confisca un patrimonio da un miliardo e 300 milioni di Euro. Arturo De Felice, all’epoca direttore della Dia, spiega così quell’operazione: “È un modo per colpire al cuore l’aria grigia di cosa nostra”. Per Nicastri nel 2013 si decide per l’obbligo di dimora ad Alcamo, gli affari però secondo gli inquirenti non si sarebbero fermati.

Infine Vito Nicastri, dopo essere stato sottoposto a misura di prevenzione personale e reale dal Tribunale di Trapani, venne tratto in arresto, insieme al fratello Roberto, nel marzo 2018. Il provvedimento venne confermato dal Tribunale per il Riesame che condividendo in pieno la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza applicò, tuttavia, la misura degli arresti domiciliari, poi come si vedrà consistentemente violata (per proseguire gli affari con gli Arata) al punto da imporre l'aggravamento ed il conseguente ripristino della custodia cautelare.

Francesco Mezzapelle

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