La rottura del tendine d'Achille, ne parliamo con il dottor Di Via

Nuovo approfondimento a cura del dottor Di Via

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
07 Ottobre 2021 15:46
La rottura del tendine d'Achille, ne parliamo con il dottor Di Via

Il tendine d’Achille collega i muscoli del polpaccio all’apofisi calcaneare posteriore, media l’azione dei muscoli posteriori della gamba, favorendo la flessione plantare del piede. Il nome deriva dalla mitologia greca, in cui si narra che la madre dell’omonimo eroe immerse il piccolo Achille, nel fiume Stinge, per proteggerlo dai pericoli. Tuttavia, lo tenne con la mano per il suo tendine, il che significa che l'acqua non toccò questa parte del suo corpo, il quale rimase quindi vulnerabile.

Il picco d’incidenza della lesione achillea è tra i 30 e 50 anni, con netta prevalenza nel sesso maschile e negli sportivi professionisti e dilettanti.

Vi sono diverse cause che possono concorrere ad una sua rottura, tra le quali annoveriamo: scatti improvvisi, contrazioni violente del tricipite della sura, cadute dall’alto con il piede in dorsi-flessione, in soggetti che spesso già hanno una tendinopatia acuta o cronica (tendinosi). Per tale motivi gli sportivi, tra cui, i cestisti e calciatori su tutti, sono maggiormente predisposti ad una rottura achillea; tra i nomi illustri K.Durant, Beckham e non ultimo Spinazzola agli ultimi europei. Altri fattori predisponenti sono le infiltrazioni di cortisone, l’utilizzo per lunghi periodi di fluorochinolonici (antibiotici) e la familiarità.

Il sintomo principale della lesione, è il dolore associato ad un forte schiocco e si ha la sensazione di aver ricevuto una pedata sul retropiede. Subito dopo si avrà impotenza funzionale, con incapacità di flettere il piede e mettersi sulle punte, oltre al gonfiore alla caviglia.

La diagnosi si basa sull’anamnesi e su un accurato esame clinico. Il test principe in questo tipo di lesione è il test di Thompson, in cui con il paziente prono sul lettino, si “spreme” il polpaccio per verificare se il piede si flette plantarmente, simulando la contrazione del muscolo. Nei casi dubbi possono essere dirimenti un esame ecografico ed eventualmente una Risonanza magnetica.

Il trattamento varia in base al grado di lesione ed alla età e richieste funzionali del paziente. Pertanto esso può essere conservativo, confezionando un apparecchio gessato alla gamba con il piede in flessione plantare (per favorire l’affrontamento dei capi tendinei lesionati) oppure chirurgico. L’intervento consiste, quando possibile, nella sutura diretta dei monconi tendinei (tenorrafia) quando possibile con eventuale infiltrazione di gel piastrinico; però se la qualità degli stessi è scadente o se non sono abbastanza lunghi, si può utilizzare un innesto tendineo.

Fondamentale nel post-intervento sarà immobilizzare con un gesso l’arto per almeno 20/30 giorni con il piede in equino e successivamente utilizzare un tutore, per proteggere in tendine in via di riparazione. Nel frattempo si comincerà una graduale fisioterapia, che porterà il paziente alla piena ripresa funzionale; negli sportivi il ritorno all’attività agonistica è sconsigliata prima di almeno 6 mesi.

Dott. Danilo Di Via

Medico presso:

Università degli Studi di Catania

Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche

Sezione di Ortopedia e Traumatologia

Direttore: Prof. Giuseppe Sessa

Direttore di scuola: Prof. Vito Pavone

Ricercatore: Prof. Gianluca Testa

Resident Chief: Dott. Andrea Vescio

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