“Una punta di Sal”. L’attesa e l’angosciante “giuoco delle parti”

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
29 Novembre 2020 08:19
“Una punta di Sal”. L’attesa e l’angosciante “giuoco delle parti”

L’attesa. L’attesa di tutto. Due telefonate (incomplete perché hanno parlato soltanto gli 8 mazaresi) bastano per riempire i vuoti familiari, le lacrime del giorno e della notte, le paure e le ansie, i battiti del cuore a mille? Due telefonate che hanno soltanto interrotto il silenzio e nulla più. Si spera in ben altro. Il ritorno in città dei 18 pescatori segregati in una prigione di Bengasi, che non è un salotto, ma un carcere. Si è in attesa di tutto, anche del processo che si farà, tranne miracoli che però non sono previsti nei codici di Haftar tanto che il generale Mohamed al Wershafani ha detto che i 18 pescatori entreranno in un’aula di tribunale.

Il 19 novembre scorso,  in un comunicato diffuso sul sito della Farnesina, si legge che Di Maio ha avuto un colloquio telefonico con la Rappresentante Speciale Onu ad Interim per la Libia, Stephanie Williams. Nella nota Di Maio “ha confermato il pieno sostegno dell’Italia agli sforzi di dialogo intra-libico condotti da UNSMIL” (United Nations Support Mission in Libya) ed ha espresso soddisfazione  per il dialogo politico che ha fissato le elezioni al 24 dicembre 2021.

Infine, Di Maio “ha evidenziato i positivi sviluppi in campo economico dopo la ripresa della produzione e delle esportazioni di petrolio”. Dei pescatori di Mazara del Vallo non c’è traccia, nemmeno una parola. Da qualche giorno è andato in scena “Il giuoco delle parti” che non è il capolavoro di Luigi Pirandello bensì  la vicenda dei quattro “calciatori” libici condannati dal tribunale di Catania per tratta di esseri umani e omicidio, condannati a 20 e 30 anni di carcere. L’avvocato di difensore dei quattro dice che nell’aria non c’è  nessuno scambio di prigionieri anzi l’avvocato andrà avanti per provare l’assoluzione dei 4, dall’altro c’è una dichiarazione di Ahmed Maitig, vicepresidente del Consiglio presidenziale a Tripoli che dice “credo la direzione sia quella dello scambio con i calciatori libici condannati al carcere in Italia".

La liberazione dei “calciatori”, fin dai giorni successivi al sequestro, sarebbe stato il “riscatto” che Haftar avrebbe chiesto per liberare i 18 uomini e i due pescherecci “Antartide” e “Medinea”. “Gli italiani sono attivissimi, lavorano a tempo pieno – aggiunge Maitig. Tra i nostri due Paesi esistono trattati per lo scambio di prigionieri. Credo sia questa la strada. Seguiremo le nostre legislazioni in merito. Spero nel successo il prima possibile. Ma non so quando di preciso".

Il nostro ministro della Giustizia, il mazarese Alfonso Bonafede, ha detto però tempo fa che non esiste nessun trattato con la Libia che prevede lo scambio di prigionieri. La messa in scena di questo “Giuoco delle parti” è angosciante, si intrecciano pensieri e parole che annebbiano anziché diradare, bisogna fare luce, illuminare la scena  per fare ritornare il sorriso ai nostri 18 ed ai familiari. “Ad oggi – scrive in una nota l’Ammiraglio Giuseppe De Giorgi -  l’unico successo diplomatico di Luigi Di Maio in questa faccenda, è stato quello di aver fatto ottenere ai pescatori una telefonata a casa, grazie agli Emirati Arabi.

Avevo ribadito alcuni giorni fa - continua l’Ammiraglio - la pericolosità dell’avvenimento (sebbene non sia il primo caso del genere) poiché ci avrebbe dovuto far riflettere sull’importanza della questione marittima in relazione alla guerra in Libia e sulla necessità di attuare un piano governativo interministeriale per stabile la giusta strategia marittima da adottare a livello nazionale, eppure, ad oggi, i nostri pescatori sono ancora prigionieri in Libia e non solo è il segnale che qualcosa non sta andando come dovrebbe, ma è anche la prima volta che ci troviamo davanti a un tempo tanto lungo per giungere a una risoluzione, il che non fa presagire nulla di buono.

Il tutto, tra l’altro, in un assurdo e imperdonabile silenzio generale, come se ci si fosse già dimenticati di tutta la vicenda”. L’Ammiraglio ricorda che “i nostri 18 concittadini  sono in attesa di processo, si trovano lì poiché avrebbero pescato in acque considerate libiche, libiche però soltanto per la Libia, in quanto gli accordi internazionali vigenti, regolati soprattutto dalla carta di Montego Bay, riconoscono come acque territoriali soltanto quelle poste a 12 miglia dal punto di costa, oltre le quali poi inizia la Zona Economica Esclusiva (Zee).

La Libia, però, delimita la propria Zee non dalla costa di Sirte, bensì da una posizione molto più avanzata rintracciata da un’ideale linea che congiunte Misurata e Bengasi. Ecco perché quando i nostri pescherecci si trovano in quelle acque, pur avendone pienamente diritto secondo le norme internazionali, vengono però trattati da fuori legge dai libici che li considerano come degli intrusi che si insinuano nelle acque unilateralmente considerate territoriali”. Secondo l’Ammiraglio i due equipaggi sequestrati dal Libyan Nation Army (ossia l’esercito di Haftar) vengono utilizzati dall’uomo forte della Cirenaica per mettere sotto scacco l’Italia e portare avanti un vero e proprio ricatto, secondo quanto emerge dalle dichiarazioni del generale Khaled al Mahjoub, uomo molto importante dell’LNA, che all’Agenzia Nova ha dichiarato che “Il comandante Haftar rifiuta di rilasciare i pescatori italiani detenuti a Bengasi prima di liberare i giovani libici che le autorità italiane hanno condannato a trent'anni di reclusione con l’accusa di traffico di esseri umani.

Haftar – conclude l’Ammiraglio -  ha intenzione di far capitolare l’Italia, farsi consegnare i quattro calciatori ed essere così riconosciuto dai connazionali come l’unico vero leader che è nella condizione di poterne garantire la sicurezza e difenderne gli interessi. Per Haftar, infatti, è di fondamentale importanza riacquistare la fiducia della popolazione, vista la perdita di consenso degli ultimi mesi nei quali si sono svolte numerose proteste e manifestazioni a causa del peggioramento costante delle condizioni di vita nell’est della Libia”.Il protrarsi del sequestro dei marinai starebbe  creando, insomma, l’ennesima crepa che connota l’Italia come l’anello debole tra tutti gli attori presenti in Libia e più in generale nel Mediterraneo, oltre a dimostrare la scarsa voce in capitolo che il nostro Paese possiede in una vicenda che lo riguarda da così vicino e che, a tre mesi di distanza dal suo inizio, ancora non accenna a trovare una risoluzione.

Per quanto il Ministro Di Maio abbia rassicurato, a parole, sull’alacre e continuo lavoro per riportare i pescatori in Italia (questa la sua dichiarazione a “Porta a Porta”) “Stiamo sentendo diversi paesi e attori internazionali che hanno  influenza su quelle parti. Non accettiamo ricatti. Lavoriamo senza dare tempistiche per riuscire a riportarli a casa il prima possibile”. In concreto  sembra che non si stia smuovendo assolutamente nulla e soprattutto i toni e le parole vaghe ed esageratamente misurate ci fanno apparire, come purtroppo accade sempre più di frequente, come il “ventre molle” del Mediterraneo.

“Dobbiamo fare qualcosa – afferma l’Ammiraglio De Giorgi - Non c’è ulteriore tempo da perdere. Questo atteggiamento attendista, tentennante, ambiguo e vago non fa altro che arrecare danno alla nostra reputazione come Paese, facendoci perdere di credibilità e di potere di contrattazione nelle questioni internazionali. E questa è una di quelle. Abbiamo molto da perdere, non solo la faccia, ma soprattutto la vita di 18 persone”. Salvatore Giacalone  

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza