«Quando colui che ha rappresentato una città ed un’intera provincia al Governo del Paese viene condannato per mafia, ad essere colpita è anche la comunità».
Dario Safina, Deputato del PD all'Ars ed ex Assessore trapanese -, ha commentato così la condanna ad Antonio D'Alì.
Nei giorni scorsi, infatti, D’Alì è stato condannato in via definitiva a sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa: la prima sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il ricorso della difesa di D’Alì, con la condanna definitiva decisa nell’appello bis a Palermo nel luglio del 2021.
L’ex Senatore e sottosegretario al Ministero dell’Interno «ha certamente assunto degli impegni seri e concreti a favore dell’associazione mafiosa – come si legge nelle motivazioni depositate lo scorso anno dalla Corte d’Appello di Palermo – e ciò lo si può desumere dalla sua già stabile, affidabile, comprovata e ventennale disponibilità a spendersi in favore di Cosa Nostra».
Impegni che hanno «contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa Nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato».
La sentenza è arrivata dalla Corte d’appello di Palermo da parte della Cassazione dopo due assoluzioni in primo e secondo grado. Poco dopo, il politico trapanese – che nel 2018 si era candidato Sindaco, non arrivando al ballottaggio per poco – si è costituito nel carcere milanese di Opera.
Una condanna che ha fatto storcere il naso a molti, come conferma il Deputato Safina, nei confronti di un «personaggio politico che ha determinato un’epoca nel trapanese. Umanamente lo capisco ma, per chi come me crede nella giustizia, le sentenze si rispettano in quanto accertano la verità giudiziale e ad essa, nel racconto, bisogna attenersi. Ciò che si può commentare è la storia politica di ciascuno di noi. Ebbene, quella del senatore Antonino D’Alì - come tanti esponenti del centro destra siciliano e non solo - è stata contraddistinta dall’ubriacatura di potere, dal senso di intoccabilità, dall’obbligo d’essere deferenti nei loro confronti.
La città di Trapani, a lunghi tratti, s’è fatta affabulare da questo modo d’essere, perché i gravi errori, ossia l’assenza di una visione, sono stati coperti da realizzazioni che si sono rilevate effimere e che non hanno condotto a nulla. Questo lo dico con rammarico perché non ho mai pensato di sconfiggere il senatore Antonino D’Alì in un’aula di Tribunale ma sul campo della politica, quello elettorale e della raccolta del consenso. Purtroppo, quando era pienamente libero di agire non ci sono/siamo riusciti e questo dev’essere da monito per tutti quelli che come me, aspirano a costituire una piattaforma progressista, che punti a proiettare in un futuro contraddistinto dall’equilibrio tra diritti e doveri la nostra comunità».