Anche quest'anno al Cine Teatro Ariston il 27 gennaio, in memoria delle vittime della shoa, è andata in scena una pièce teatrale la cui regia porta la firma di Max Di Bono. Lo spettacolo ha coinvolto gli alunni del Liceo Fardella-Ximenes in una rappresentazione che, fra riflessione e provocazione, punta tutto su introspezione e studio psicologico di totalitarismo e violenza.
Di seguito vi proponiamo la recensione dello spettacolo di Leonardo Cersosimo:
Lo spettacolo coglie l’occasione del ricordo della Shoah per offrire riflessioni sui concetti di democrazia, libertà e assuefazione a violenza e sopraffazione attraverso un dialogo che, in realtà, prende quasi i caratteri di due monologhi incrociati degli unici personaggi sulla scena: il dittatore per eccellenza, l’emblema del dolore, Adolf Hitler, e colei che dall’olocausto è stata resa solo un numero, una ragazza ebrea.
“Io sono soltanto una dei 6 milioni di ebrei uccisi. Sono la matricola 26947”. Una frase, un personaggio che incarna il dolore del singolo, della solitudine davanti ad un sistema di violenza e distruzione. La pièce ci fa vedere il totalitarismo e la democrazia da un particolare punto di vista, soffermandosi sulla fragilità della democrazia e sulla necessità da parte di ognuno di sforzarsi per il mantenimento della stessa, ma punta anche l’attenzione sui caratteri meno visibili e più profondi della dittatura: dietro a un regime c’è un certo modo di pensare, di vedere le cose, e c’è soprattutto la convinzione di essere dalla parte del giusto. Inoltre, la caduta della democrazia e la transizione nella dittatura non è un salto improvviso, è un lento scivolare nell’assuefazione, nello smarrimento fino ad arrivare a ciò che consolida i regimi, ovvero il paradossale “desiderio delle catene” e alla volontaria sottomissione al dovere.
Lo
spettacolo affronta tutti questi punti da un lato con una impressionante
scrittura e scelte di dialogo e di trama, dall’altro con l’abilità degli attori.
Tutto ciò con rilevanti richiami all’attualità che fanno comprendere quanto
contemporaneo sia il messaggio. Assistiamo infine a un capovolgimento
dei valori che crediamo fondamentali: la libertà è un peso e questo peso è
dato dalla responsabilità.
Il dittatore alla fine è liberatore, perché solleva i suoi sottoposti dal peso della responsabilità. Questa la tesi di Hitler. Ma non è tutto buio: lo spettacolo offre anche l’immagine della resistenza, dell’impegno, della luce. La matricola 26947 si affida al prossimo, al futuro, a tutti quelli che sono pronti a difendere la democrazia e la libertà, lei è una storia, non solo un numero e così ognuno di noi. Perché se è vero che per mantenere vivo il rischio del totalitarismo basta un fedele, un sottomesso, un ignorante, un disinteressato, dall’altra parte c’è una moltitudine che nella scelta intima e introspettiva fra libertà e obbedienza ha deciso per la prima.
Grande contributo in questa scelta è dato dalla cultura, alla quale mai si deve rinunciare; la ricerca della verità è la chiave per il mantenimento della libertà. Lo spettacolo è anche un’esperienza sensoriale, che con musiche, suoni, coreografie ed effetti visivi vuole rendere partecipe il pubblico, che con la scelta di una rappresentazione statica e quasi didascalica rischia forse di rimanere non del tutto coinvolto. Particolarmente d’effetto le maschere e la “danza macabra” messe in scena dalle due abili ballerine presenti, a rappresentare in scena non solo i demoni della dittatura, ma anche i demoni della mente di Hitler.
Il dittatore viene infatti raccontato anche su un piano personale, narrandone l’infanzia infelice e le carature psicologiche in un’analisi che arricchisce lo spettacolo, ma forse incontra un po’ di difficoltà nel coniugarsi col resto delle tematiche. In conclusione, “Intermittenze” è uno spettacolo riuscito e che offre profondi spunti di riflessione, tanto psicologici, quanto morali e culturali, ma che forse potrebbe avere un impatto più forte con qualche accorgimento sulla coesione della trama e sulle modalità teatrali con cui si presenta al pubblico.