“Detti e stradetti”, modi di dire trapanesi: «Don Cola cu tutta a sunata»

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
14 Marzo 2021 02:45
“Detti e stradetti”, modi di dire trapanesi: «Don Cola cu tutta a sunata»

I modi di dire riescono a rappresentare a pieno un popolo e il suo modo di essere. A volte nascono da storie realmente accadute – come Si mise l’acqua rintra o Va caca a marina – mentre altre volte prendono spunto da leggende che, in un modo o nell’altro, riescono a diventare parte integrante di un territorio. La particolarità dei modi di dire sta nel fatto che può essere usato in luoghi diversi e non essere soggetto a cambiamenti. Altre volte, invece, cambia completamente e ne rimane intatto solo il protagonista o il significato.

Uno dei casi più famosi è il detto «Ti manciasti a Don Cola cu tutta a sunata» che in altre città, soprattutto della Sicilia orientale, è diventato «Ta manciato Don Cola Carogna». Secondo quanto riporta Giuseppe Pitrè – scrittore, medico, letterato, etnologo e il più importante ricercatore e studioso di tradizioni popolari siciliani – Don Cola era uno spietato usuraio, quindi sicuramente ebreo poiché ai cristiani era vietata questa pratica. Don Cola, il protagonista di questa leggenda quasi spaventosa, deve il suo successo ad una cliente speciale: una strega.

La casa della donna, infatti, era stata acquisita dall’usuraio e la strega, sentendosi ingannata, decise di vendicarsi. Don Cola, così, si ritrovò vittima di una maledizione che lo costringeva a mangiare tutto quello che vedeva, proprio come aveva “mangiato” la casa della strega. Cadendo sotto l’influenza del terribile Ouar – il demonio della bulimia nervosa – Cola iniziò a ricercare cibo di ogni tipo. Dopo essere stato ripudiato da tutti – poiché era riuscito a divorare le dispense di tutti i suoi amici e i suoi parenti – iniziò a cercare altri tipi approvvigionamento.

Tra i tanti, fece prostituire la moglie per avere la possibilità di mangiare le dispense dei suoi amanti. Ma don Cola continuava ad avere una fame insaziabile e, così, decise di mettere delle parti del corpo come pegno nelle sue clausole di usura. Dopo, ancora, decise di inserire i figli delle sue vittime. Una notte, poi, decise di mangiare i suoi figli. Ma, liberato per un attimo dall’influenza negativa del demone, si uccise. Al momento della morte, il suo corpo pesava 500 kg e, dopo aver costruito la bara più grande della Sicilia, furono abbattute le porte per permettere il passaggio.

Dunque una massa molto grande che, in poco tempo, iniziò ad essere associato soprattutto per chi decide di non condividere il cibo, cosa poco gradita in Sicilia. Quella Sicilia che, divisa tra occidentale e orientale, tra arancina e arancino, a volte è molto simile. Cambiano le parole, ma non cambia il significato. E qui è proprio il caso di dirlo. Chiara Conticello  

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