Di fronte lo spazio antistante la Banca mi ritrovo alle 08.20 a fare la fila, ci sono già otto persone davanti a me che infreddoliti attendono il loro turno. In fila sono la più giovane, poi pensionati. Ci si guarda quasi con sospetto, poi con la mascherina è pure complicato a volte vedere bene chi si ha di fronte. Sospira un vento freddino e qualcuno decide di mettersi al riparo nel corridoio proprio davanti la porta d’ingresso della banca stessa. Ed ecco che si comincia a parlare di distanza.
Non c’è un metro, ma no che c’è, sei troppo vicino, fatti più in là, meglio che qualcuno si rimetta fuori, si sdrammatizza con qualche battuta e poi un uomo in particolare ha il coraggio di dire: “…scusate, io mi metto in macchina; ho paura”. In quel preciso momento arriva una signora che sente la frase e dice: “ matri mia chi tempi, lu signuri n’ava aiutari. Mi tremanu li ammi… Iè aiu la me età, li me furnicii e ora puru chissu. Signù ( rivolta a me, siamo le uniche due donne in attesa) lu sapi lei chi prima cu la me vicina ni vidiamu tutti li iorna, idda ni mia ed ie po n’idda.
N’anticchia pi lu cafè, po pi taliarini la televisioni, po pi chiacchiariari e la iurnata passava. Ora immeci no…sula agghiorno e sula scuru. Chi ni sapi lei chi è picciotta!”. Interviene un uomo: “…le liti con i miei figli sono queste! Glielo dico da agosto, non dovete venire chi bona mi la passu. I miei figli sono fuori, loro si preoccupano per me ed io mi preoccupo per loro. Ma chi s’ava a fari? chista è la situazione. Ora come ora si un fussi pi la pinzioni e la posta e quattru cosi cuntati di spisa mancu sti facci di oggi vidissi.
Tinta la vicchiaia! Non mi viene più manco da mangiari, prima avia li me niputi pedi pedi ed era diversu… mah…megghiu chi un parlu va sinno m’acchaina la pressioni”. Li ascolto con sincero imbarazzo. Io che sto a lamentarmi, e loro? Io mi devo lamentare? Io??? Questo penso mentre loro continuano a parlare. Ad un certo punto esce il signore che era allo sportello bancario ed educatamente piega il gomito per salutare. Il primo risponde, il secondo pure ma il terzo no e seccato dice: “ …ma chi è stu salutu picciò???? Un babbiamu.
Pi mia du amici o s’abbrazzanu o si strincinu la manu o nenti. Un t’affenniri…ah…ma a mia sta cosa un mi po’ calari…”. Si crea un imbarazzo generale che dura due minuti e poi tutti, me compresa, gli danno anche ragione. Questa pandemia ci ha privato del contatto, che per noi esseri umani, per noi siciliani in particolare, è fondamentale. Il contatto, il calore, il significato che gli diamo, la condivisione. Insomma un abbraccio è un abbraccio. Al momento siamo sui banchi di prova a riscrivere un codice dialettico che faccia a meno del contatto.
Anche tra genitori e figli, anche tra nonni e nipoti, anche tra fidanzati, anche tra parenti, anche tra maestre e alunni, anche tra amici, anche tra fratelli e cugini. Compito non facile ma il Covid è un maestro severo che mette subito in punizione al primo gesto superficiale. E’ sotto gli occhi di tutti la facilità con cui si fa un tampone e si riceve l’esito: positivo. E allora ecco che tutto viene affidato agli occhi, al respiro, ai gesti con le mani, alle parole. In un periodo in cui si viveva già isolati, ognuno nel proprio mondo piccolo quanto un cellulare, ognuno fisso sul proprio profilo facebook o account twitter, instagram o tik tok arriva la pandemia che ci priva di qualcosa di fondamentale che fino a ieri davamo per scontato.
Il toccarsi. L’abbracciarsi. Il potersi baciare. Siamo più soli, più distanti, inevitabilmente più freddi. Niente cenoni, compleanni, meeting, aperitivi, grandi tavolate, incontri. Niente pranzi con i parenti, per le persone più prudenti e attente, niente pranzi dai genitori o dai suoceri. Niente. C’è un ante covid e ci sarà un dopo covid. Il pre-covid sembra preistoria. Mi fermo a pensare all’ultima volta che ho abbracciato la mia migliore amica, mi pare risalga alla seconda guerra punica… lo scrivo amaramente, senza sorriso sulle labbra.
Si può sempre coltivare il calore e la confidenza, siamo esseri umani e caldi perché dentro ci circola sangue vivo, non lo scordiamo. Se qualcuno vuole esserci trova di certo il modo. Io so che lo scambio con la signora per me è stata una chiacchierata, anche arricchente, ma per lei è stato sfogo, ha potuto dire ad estranei cose che magari ha paura di dire ai familiari, ai figli o ai nipoti. Si è mostrata fragile e…dio come avrei voluto abbracciarla. E’ stato comunque un atto di gentilezza quello di oggi.
E allora dico, la pandemia può portarci via al momento alcuni comportamenti ma non può e non deve portarci via chi siamo: siamo persone, esseri umani, esseri sociali, questo non lo potrà portare via mai, è pane per noi, è amore per la vita per noi. Almeno questo è quello che spero adesso alla mia età e nella mia situazione. Questo sento come dovere verso me stessa e gli altri. …E voi? Maria Elena Bianco