Un procedimento che si trascina da oltre dieci anni per l’ex senatore Antonio D’Alì, giunto in un’aula giudiziaria per la prima volta nel 2011 con il rinvio a giudizio chiesto dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo. L’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. Adesso, la richiesta del procuratore generale innanzi la Corte d’Appello di Palermo è di una condanna a 7 anni e 4 mesi di reclusione. Tracciamo un excursus storico: maggio 2012, inizia il processo con rito abbreviato davanti al tribunale di Palermo.
I Pm chiesero la condanna di D’Alì a 7 anni e 4 mesi ma nel settembre 2013 il Gup di Palermo ha assolto il senatore d’Alì per i fatti successivi al 1994 e dichiarò il non dover procedere (per prescrizione) per i fatti antecedenti al 1994. La procura propose ricorso. Nel settembre del 2016 la corte d’appello conferma la sentenza di primo grado (assoluzione per i fatti successivi al 1994, prescrizione per quelli precedenti). Nel gennaio 2018 la sentenza d’appello del 2016 venne annullata dalla Cassazione, ordinando il nuovo processo d’appello nell’ambito del quale è giunta la richiesta di condanna del Procuratore Generale.
Nel frattempo, tra il primo e il secondo processo d’appello la DDA di Palermo ha chiesto la misura del soggiorno obbligato a Trapani, ritenendo d’Alì un soggetto socialmente pericoloso. Erano i tempi della corsa dello stesso per le elezioni a sindaco nel Comune di Trapani. Richiesta accolta dal Tribunale Misure di Prevenzione di Trapani nel 2019 e avverso la quale il senatore trapanese ha proposto un ricorso, definitivamente accolto dalla Cassazione qualche settimana fa. Si è messa quindi la parola fine alla questione della pericolosità sociale di d’Alì, dichiarando inammissibile il ricorso della Procura generale.
Attendiamo, tra qualche settimana, l’esito della sentenza dell’appello bis.