“Il modello aziendalistico attuale è fallimentare dove si misura tutta la distanza tra la retorica degli eroi, degli angeli e la condizione di dipendenti pubblici, schiacciati da una macchina che esige troppo e nemmeno li ascolta, frustrati da una organizzazione del lavoro che non ha tra le sue priorità i loro bisogni e le loro necessità”.
Adesso è ora di cambiare: è necessario innanzitutto assumere personale, facendo saltare tutti gli impedimenti normativi ancora vigenti; riconoscere ai medici e ai dirigenti sanitari un ruolo decisionale nella Governance delle aziende e poi valorizzare economicamente le professioni”.
Partiamo da un dato inoppugnabile. Il personale del SSN ha salvato l’Italia da una disfatta sanitaria, epocale.
Ad inizio pandemia, abbiamo lavorato senza dispositivi di protezione individuale, perché non erano stati stoccati, senza tamponi, se non in caso di malattia conclamata, senza limiti negli orari di lavoro, per non lasciare i pazienti senza assistenza, e perfino con l’esonero dalla quarantena, obbligatoria per il resto della popolazione, in caso di contatto stretto con pazienti risultati poi positivi al Sars-CoV-2.
Combattendo contro un nemico sconosciuto, subdolo e altamente diffusivo, abbiamo pagato un prezzo pesantissimo in termini di sanitari contagiati, oltre 140 mila, e di morti, almeno 400.
Con sacrificio, tra delusioni e speranze, alla fine con il nostro fattivo contributo e sotto l’auspicio del giuramento ippocratico, siamo riusciti a trovare il miglior trattamento e la migliore organizzazione ospedaliera per contrastare la malattia COVID-19.
Una prova straordinaria di abnegazione, generosità e altruismo ma anche di capacità di azione collegiale e di autogoverno, reinventandosi nuove organizzazioni negli ospedali, nuovi reparti e posti letto che non esistevano. Un sacrificio immane però che rischia di essere vanificato, se non contemplato nelle scelte future.
La sanità tutta sia a livello nazionale che locale, oggi, è, in pratica, governata da una condizione di “scarsa democrazia”, che, con non celate forme di autoritarismo, ha trasformato in inutile ferro vecchio le “competenze e il sapere”, due dimensioni fondamentali, in cui si incardina il ruolo e la stessa autorevolezza sociale dei medici.
Una sofferenza acuita dalla pandemia, che ha aumentato carichi di lavoro e complessità assistenziali, stress fisico e psichico, esponendo al sempre più frequente rischio di denunce legali, ormai insopportabili da sostenere, sia dal punto di vista economico che psichico.
La vera emergenza, e non a caso, è che come risultato la fuga dei medici dagli ospedali.
La crisi della sanità pubblica coincide e si sovrappone con la crisi del medico pubblico, sull’orlo di un burn out che lascia spazio solo alla fuga, verso l’estero per i giovani e verso il privato per i meno giovani. Senza soluzioni alla seconda non c’è futuro possibile per la prima. In sostanza, il lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari del SSN reclama oggi un diverso valore, oltre che numerico anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i professionisti, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato.
Per evitare conseguenze insanabili oggi occorre urgentemente mettere il SSN nelle condizioni di affrontare eventuali nuovi traumi senza pagare un alto tributo in termini di vite umane e senza interrompere le attività ordinarie.
Per quanto riguarda il versante ospedaliero, se si esclude l’incremento dei contratti di formazione post-laurea per il concorso 2021-22 ancora non scorgiamo nei provvedimenti del Governo una piena consapevolezza di questa sfida.
La quota di PNRR che cerca, di risolvere tutte le criticità emerse durante la pandemia in merito allo stato delle strutture sanitarie, vetuste e poco flessibili, obsolete, al ritardo della digitalizzazione, non è sufficiente e non basterà perché l’adeguamento strutturale degli edifici e della strumentazione tecnologica, per migliorare la cura dei pazienti, così come i posti letto, senza il numero adeguato di personale e la necessaria formazione rischiano di ridursi a semplici arredi, in quanto in esso, non è nemmeno, in una prospettiva futura, prevista la necessità di aumentare le dotazioni organiche, ne si fa riferimento al ruolo dei medici e dei dirigenti sanitari in una rinnovata Governance delle aziende sanitarie, alla riorganizzazione della rete ospedaliera e dei servizi di prevenzione, specie nelle regioni meridionali dove il numero dei posti letto in rapporto agli abitanti continua ad essere inferiore alla media nazionale, a sua volta inferiore alla media dei Paesi della Comunità Europea.
Le criticità disvelate dalla pandemia, figlie della scure di ieri che ha minato la sanità nelle sue basi economiche e umane, richiede oggi, prima che sia troppo tardi, politiche adeguate, responsabili e aggiuntive. Perché la questione decisiva sono i medici, i dirigenti sanitari, gli infermieri quel capitale umano, senza il quale, nessun ridisegno e potenziamento del SSN è immaginabile, anche ai fini della produttività di tutti i servizi sanitari necessari e previsti dai LEA.
L’obiettivo oggi, innanzitutto, è quello di avviare una stagione concorsuale che copra la spaventosa carenza di personale.
Bisogna, assolutamente pensare ad interventi di sistema come il riconoscimento ai medici e ai dirigenti sanitari di un ruolo decisionale nella Governance delle aziende, ripensando l’attuale modello ormai giunto al capolinea e troppo influenzato dalle logiche politiche non sanitarie che poco conoscono il tema del “governo clinico”.
La complessità del mondo sanitario non può, in sostanza, essere governata con i soli strumenti della cultura aziendalista, usati anche con non celate forme di autoritarismo spesso influenzate da logiche politiche locali, escludendo dai processi decisionali le categorie professionali nella illusione di costruire maxi aziende, con mini medici.
La politica con la P maiuscola, ha il dovere di ascoltare i sanitari non solo come medici in quanto tali, ma anche, e soprattutto, come cittadini.
Il cambiamento, di cui oggi si avverte la necessità, dovrebbe essere determinato da forme di autogoverno (già delineato dall’art.15 del D. lgs 229/1999), in modo che il personale dipendente di un’azienda sanitaria diventi protagonista del suo funzionamento, partecipando alle scelte con le sue conoscenze e, al contempo, realizzandosi come lavoratore, il cui scopo è la salute dei cittadini, mentre oggi lavorare come dirigente medico e sanitario pubblico è percepito come una sofferenza e ancor più grave, come una punizione.
Per concludere il disagio crescente dei professionisti e la crisi di fiducia dei cittadini nell’affidabilità del sistema sanitario rappresentano una miscela in grado di eroderne la sostenibilità, quali che siano le risorse investite, ingenerando infine un’atmosfera di competizione che vanifica l’obiettivo principale della medicina e cioè l’incontro tra la domanda e l’offerta sanitaria, ovvero il curare, cui siamo chiamati a rispondere giornalmente.