Dal disincanto alla pratica di Governo: un'analisi alternativa del fenomeno

Nuovo articolo a cura degli studenti del Liceo "Fardella-Ximenes"

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
17 Maggio 2023 13:36
Dal disincanto alla pratica di Governo: un'analisi alternativa del fenomeno

Antipolitica, populismo, demagogia, astensionismo, sovranismo, alienazione, tutti termini da cui da ormai molti anni la discussione pubblica italiana (ed estera) è inondata, spesso usati come sinonimi, come simili, spesso fraintesi o non capiti.

Significano tutti la stessa cosa? Decisamente no. 

Hanno tutti un filo conduttore? Decisamente sì, è l’Antipolitica. 

Con questo termine intendiamo tendenzialmente l’insieme degli atteggiamenti e mentalità di chi non si interessa, osteggia, addirittura rigetta e attacca la politica e i politici.

Le motivazioni alla base di questo sono molteplici: espressione dell’antipolitica è chi vede la politica come luogo di affarismo, di decadenza, come entità distante, superata, noiosa, ma anche minacciosa e invadente. L’Antipolitica si manifesta in due atteggiamenti in realtà: quello della critica alla politica esistente e quello del disprezzo di quest’ultima e della volontà della sua eliminazione e sostituzione con altro, anche proprio con la forma in cui si è concretizzato il sentimento antipolitico. 

Già, perché tale sentimento alla lunga può concretizzarsi in partiti e movimenti, può esprimersi con simboli, può presentarsi alle elezioni, può sedere in Parlamento, può arrivare al governo. Pur rimanendo profondamente antipolitico. Ci si chiederà come sia possibile, come sia possibile che chi rifiuta la politica ne prenda parte e magari agisca con i mezzi della politica e all’interno delle istituzioni tradizionali, pur definendosi antipolitico. 

Ciò è possibile perché, per quanto assurto ad attore politico, il movimento antipolitico manca del fondamento primario: la base ideologica. Senza ideologia, senza la scelta di un modello da dare alla società a discapito di un altro, senza una visione sociale, senza un indirizzo nella conduzione di una comunità civile, ciò che fa politica rimane antipolitico. Il cuore dei movimenti antipolitici è spesso solamente l’estromissione della politica esistente, la distruzione degli schemi, il rifiuto. 

Da questo è spesso determinato il loro fallimento una volta al governo: per governare serve un’idea, se non la si ha o si fallisce o si allontanano definitivamente i cittadini dalle istituzioni o, ancora, si incoraggia la crescita sempre più dannosa di movimenti antipolitici sempre più controversi. Ma non è tutto così negativo. 

Un partito antipolitico può anche essere il modo in cui si esprime un sentimento popolare che antipolitico non è. Un sentimento popolare che può aver provato a manifestarsi e agire in modi diversi, anche con la critica alla politica esistente, ma che avendo trovato in risposta solo spocchia, indisponibilità, incapacità di cambiamento, si è quindi espresso con un movimento antipolitico. Ci sono vari esempi di partiti che hanno intercettato sentimenti di critica costruttiva esprimendoli in modi più aggressivi ed incisivi per arrivare allo scopo.

Il problema di questi è però la loro "corale eterogeneità": tendono a dividersi una volta al governo mancando di un originale indirizzo ideologico. È possibile ed è capitato che movimenti antipolitici, a questo punto, si siano riarmonizzati nell’ordine politico esistente acquisendo un fondamento ideologico, ma senza rimuovere i tratti volti al rinnovamento e agendo sinceramente per il miglioramento delle condizioni. Si può forse e in parte prendere ad esempio il Movimento 5 Stelle. Il problema è che è molto sottile il margine nel quale un movimento di critica alla politica, poi di antipolitica e successivamente di antipolitica istituzionalizzata, possa agire in vista di un miglioramento della partecipazione democratica, senza da un lato sovvertirla e dall’altro perdere la sua personalità.

Questo perché molto spesso la politica esistente reagisce in modo scomposto e ostile al sentimento di antipolitica, magari nello stesso modo con cui aveva reagito alla sola critica costruttiva. 

Bisogna tenere presente una cosa: le democrazie mature come quelle occidentali vanno necessariamente incontro a una fase in cui è l’Antipolitica a dominare, questo perché nella libertà sulla quale si basa una democrazia matura è contenuto il germe dell’opposizione. Inoltre perché spesso la società cambia più velocemente rispetto a coloro che la dovrebbero rappresentare nelle istituzioni. In Italia ciò non è stato accettato. E tale fatto è un rischio ben maggiore di qualsiasi sentimento antipolitico. 

Questo infatti ha portato negli anni alla nascita di una critica inascoltata, allo svilupparsi di un senso di ostilità alla politica, al suo esprimersi in grandi movimenti, armonizzatisi in seguito nello scenario politico in modo talvolta positivo, talvolta negativo, ma incapaci di imprimere un reale cambiamento a tutta la politica, portando allo svilupparsi di partiti ora più autoritari che altro e infine al rischio più grande della parabola negativa dell’antipolitica: l’allontanamento dal voto.

L’astensione. Metodo ultimo di protesta, rischio concreto per la tenuta della democrazia. Una politica che preferisce non ascoltare i sentimenti popolari, etichettandoli come “populismo”, che si chiude in sé stessa, che rifiuta il cambiamento, porta ad un incancrenirsi del sentimento antipolitico, che, se non trova altro metodo con cui esprimersi, porta ad allontanarsi dal voto. Le ultime elezioni in Italia dimostrano che stiamo purtroppo andando in questa direzione. Il non voto è un rischio reale per la democrazia, perché permette a sostanziali minoranze di governare un intero paese, annullando quindi il punto cardine della democrazia. 

E recuperare elettori definitivamente alienati dalla politica è di formidabile difficoltà, un compito che la politica che ha portato a tale drammatico punto non può svolgere se non mette in atto un’opera di reale introspezione e apertura al cambiamento. Cosa che in Italia ancora aspettiamo. Contestualmente, il fallimento o il mancato ascolto delle prime forme di antipolitica porta a uno sviluppo di altre, più violente, meno propositive, più interessate alla distruzione e al potere che al cambiamento e alla democratica cooperazione. Capirete che l’unirsi della debolezza democratica dovuta all’astensione e la crescita di movimenti ora davvero antipolitici e sovranisti forma un mix che sarebbe meglio evitare, a meno che non ci piacciano i governi autoritari. 

Il senso di questo - non me ne vogliate - lungo articolo è che è necessario fare attenzione quando si addita l’Antipolitica come causa dei mali di una democrazia senza riflettere sul fatto che forse è proprio chi punta il dito ad essere concausa di un fenomeno che si rifiuta o è incapace di capire. 

Ciò non vuol dire assolutamente elogiare l’Antipolitica, anzi, ma impegnarsi a capire un fenomeno per poterlo affrontare.

Leonardo Cersosimo

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