Autismo a scuola, come aiutare un compagno di classe ad integrarsi
Il 2 aprile si è celebrata la Giornata Mondiale della consapevolezza dell’autismo, ossia una giornata per sensibilizzare le persone a comprendere che cosa sia l’autismo e come approcciarsi senza paure e pregiudizi a bambini e adulti che soffrono di questa sindrome.
La prima domanda da porsi è: che cos’è l’autismo? Viene spesso definito una malattia, ma non è così in quanto una malattia presuppone una diagnosi e una cura. Dall’autismo, invece, non si guarisce.
Sono un' alunna di seconda superiore e in questa settimana di riflessione su questa problematica, mi sono sentita particolarmente coinvolta, avendo avuto, negli anni precedenti, in classe, un compagno che soffre di questo disturbo. Anzi, è stata l’occasione per cercare di saperne di più e approfondire il problema che mi riguarda da vicino, cioè l’integrazione scolastica. In passato gli autistici non frequentavano la scuola, negli ultimi decenni, invece, sono stati compiuti dei notevoli progressi per il loro inserimento nella scuola comune di ogni ordine e grado, diritto affermato già dalla Legge n.
104/1992. Questi ragazzi, in classe, hanno bisogno di essere seguiti da un insegnante che sia la loro guida. Anche il nostro compagno Rosario, a cui, per rispetto della privacy, ho dato un nome di fantasia, fin dalla scuola primaria ne ha avuto uno insieme ad un assistente, ma anche io ho collaborato affinché si sentisse ben inserito in classe. Soprattutto quando non c'era il suo professore, eravamo tutti noi ad accudirlo: ad esempio, l’accompagnavamo al posto, l’aiutavamo a mettere il materiale scolastico sul banco, a fare disegni e compiti vari, poi alla fine della lezione uscivamo insieme, lui ed io. Rispetto a prima, è migliorato moltissimo: ha imparato a scrivere e a leggere alcune frasi, a fare degli esercizi d’italiano e scienze, perfino a produrre piccoli dialoghi con noi e i nostri professori e a volte ci faceva degli scherzi per rimanere al centro dell’attenzione.
Anche se non in grado di sostenere una vera conversazione, capiva tutto e ci rispondeva a modo suo. In compenso riusciva a utilizzare i cellulari e i computer molto meglio di noi. Rosario seguiva un piano didattico diverso dal nostro, personalizzato, ma partecipava alle altre attività,come le recite e le feste, insieme a noi. Per lui, in ogni caso, il solo fatto di rimanere in classe seduto al proprio banco, senza gridare o cercare di scappare, rappresentava il raggiungimento di un importante traguardo.
Manifestava interesse per quello che facevamo noi, come ricordo il giorno in cui stavamo leggendo in classe Cappuccetto Rosso; lui ne è rimasto colpito e ha cominciato a ripetere alcune parole del libro, allora la professoressa gli ha fatto ascoltare l’audio libro e lui, tutto contento, l’ha abbracciata comunicandole la sua felicità. Tutti gli alunni, con l’aiuto degli insegnanti, possono, anzi devono, dare una mano ai loro compagni autistici. Si tratta di persone come noi, solo un po’ più sfortunate di noi, che hanno gli stessi nostri diritti. L’autismo, o meglio “sindrome dello spettro autistico”, così come l’ha definita nel lontano 1943 il dott.
Leo Kanner, che per primo l’ha descritta, è un disturbo dello sviluppo neurobiologico, di cui ancora non si conoscono con sicurezza le cause. Questa sindrome può essere più o meno grave e i sintomi sono variabili da persona a persona, ma tutti coloro che ne sono affetti hanno in comune la difficoltà di comunicazione, soprattutto per quanto riguarda il linguaggio verbale e di interazione con gli altri, con comportamenti ripetitivi e asociali; sta a noi tendere loro una mano e, quando si potrà, abbracciarli con tanto amore.
Lucrezia Inzerillo 2^ MM