“Una punta di Sal”. Una visita “pomposa”.

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
27 Dicembre 2020 12:01
“Una punta di Sal”. Una visita “pomposa”.

La proposta “indecente” non è stata nemmeno sussurrata. Conte, Di Maio e Haftar hanno parlato d’altro e non di prigionieri, quelli mazaresi e quelli libici. Lo scambio dei prigionieri però aleggia, ma non ci sono conferme. I 18 pescatori mazaresi sono liberi, i 4 assassini libici restano rinchiusi in quattro carceri della Sicilia, di cui uno a Trapani.  Ci si chiede: “Tutto gratis”? Haftar ha avuto la folgorazione della beneficenza senza chiedere nulla? Può farsi, perché il generale, da quello che si legge, sarebbe anche un po’ vanitoso, gli piace, anche a lui, come a tanti politici, condottieri e anche nulla facenti, apparire.

Lui vuole apparire come l’uomo forte della Libia e lo vuole dimostrare in ogni occasione che si presenti. Precedentemente, due settimane prima della liberazione del 17 dicembre ci sarebbe stata però la telefonata di Putin ad Haftar che gli avrebbe detto: “Libera i pescatori italiani entro Natale”, telefonata sollecitata, sembra, da Silvio Berlusconi. Haftar,  che sembra ricevere soltanto influenze da Putin, ha accettato ma ha voluto un riscatto politico da pagare ed ha preteso le presenza a Bengasi del premier Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Una passerella con la quale il generale ha certificato il suo ritorno in auge. Il volere apparire era in cima ai suoi pensieri e c’è un video che mostra lo storico incontro tra Haftar, Conte e Di Maio. Nelle immagini si nota una vera e propria cerimonia di accoglienza, con tanto di tappeto steso lungo una pista aeroportuale e un plotone di soldati schierati pronti ad accogliere gli ospiti. Poco dopo da un aereo scendono Giuseppe Conte e Luigi Di Maio che sembrano un po’ spaesati, forse non si aspettavano questa accoglienza  pomposa con bandiere e militari schierati.

I due sono atterrati nella base posta a 15 km da Bengasi che ospita il quartier generale di Haftar. Era proprio questo l’obiettivo del generale e quante volte lo abbiamo detto in questi mesi: portare i massimi rappresentanti italiani fino a casa sua e far vedere ai suoi diretti rivali che lui, dopo tutto, conta ancora qualcosa. L’uomo forte della Cirenaica a giugno ha dovuto lasciare Tripoli. Qui, per più di un anno con il suo Libyan National Army (Lna) ha provato a entrare fin dentro la capitale per spodestare il governo riconosciuto dall’Onu (e dall’Italia) retto dal premier Fayez Al Sarraj.

Un azzardo, quello di Haftar, che non ha pagato: lui si è avventurato a Tripoli ma non aveva fatto i conti con la miriade di milizie legate a Misurata e al governo. Poi a fine 2019 sono arrivati anche i turchi con i loro mercenari siriani e a quel punto per il generale l’avventura tripolina è giunta al capolinea. Una sconfitta militare che si è rivelata anche politica. Nessuno, nemmeno tra i suoi alleati, ha dato ad Haftar la considerazione di cui godeva prima. Soltanto dagli Emirati Arabi Uniti è giunto un certo sostegno.

Il primo settembre scorso, giorno del sequestro dei pescherecci mazaresi, Luigi Di Maio ha incontrato Al Sarraj e Saleh mentre ha “saltato” la tappa del quartier generale di Haftar. Così dopo aver sequestrato i 18 marinai di due pescherecci mazaresi, a quel punto il leader dell’Lna voleva ottenere soltanto una cosa: dimostrare in Libia e all’estero che ancora era tra gli attori protagonisti. Per farlo aveva bisogno di uno spot. Quale migliore occasione che mettere drappi, bandiere e bande mentre Conte e Di Maio scendevano dall’aereo atterrato a pochi passi dal suo quartier generale? Doveva accontentare Putin e doveva liberare i cittadini italiani detenuti a Bengasi per il periodo natalizio.

Il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, alla fine hanno accettato di recitare la parte e diventare protagonisti dello spot propagandistico di Haftar. Il generale non ha tralasciato alcun dettaglio. Nel suo quartier generale tutto è stato addobbato come per qualsiasi altra cerimonia di accoglienza di leader stranieri. Con tanto di telecamere che hanno seguito passo dopo passo la toccata e fuga di Conte e Di Maio. Uno “spettacolo” in cui non è mancato nulla: dal plotone di accoglienza dei soldati davanti l’aereo, fino agli inni fatti risuonare a bordo pista, passando poi per gli incontri tenuti dentro il quartier generale.

Strette di mano, bandiere italiane e libiche in sale adibite a festa, lo stesso generale all’ingresso della sua caserma che attende solitario l’arrivo dei due ospiti italiani. Le immagini hanno immortalato, secondo poi la propaganda messa in moto dall’Lna, la sua vittoria e la sua perfetta espressione di potenza. Nell’incontro, hanno fatto sapere da Bengasi, non si è parlato molto dei pescatori. E questo è un altro dettaglio non indifferente. Perché ha fatto apparire la giornata libica di Conte e Di Maio non come un “blitz” per riportare a casa i marinai, bensì come una qualunque visita di Stato a casa di un leader internazionale.

Haftar li ha ricevuti come capi di governo e certamente il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri italiano lo sono. Ma agli occhi di Roma, Haftar non è né un capo militare e né tanto meno politico. Il nostro governo riconosce ufficialmente soltanto le autorità che hanno sede a Tripoli. Occorrerà adesso vedere in che modo dalla capitale libica prenderanno il fatto che rappresentanti istituzionali italiani sono andati in visita, con tanto di fanfare all’arrivo, nel quartier generale di Haftar.Lo spot dell’uomo forte della Cirenaica potrebbe costare caro al nostro Paese.

L’unico elemento positivo arriva dalla pomposità dello spettacolo allestito da Haftar: evidentemente, nonostante l’Italia sia stata ricattata, in Libia farsi vedere in compagnia di rappresentanti italiani conta ancora qualcosa. Salvatore Giacalone  

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