“Una punta di Sal”. Rabbia e speranza

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
06 Dicembre 2020 15:00
“Una punta di Sal”. Rabbia e speranza

Il grido delle famiglie è straziante. Da oltre tre mesi i loro cari sono nelle mani del generale-ricattatore. E il silenzio è sovrano. Parla Rosetta Marrone, la mamma di Pietro, il capitano del peschereccio “Medinea”. All’agenzia di stampa “Sputnik Italia” dice: “Siamo preoccupati, il governo poteva fare di più per difenderli. A Conte e Di Maio dico che devono riportarmi mio figlio, siamo quasi a Natale e io dalla vita non voglio più niente, solo questo regalo: riabbracciare il mio ragazzo e tutti gli altri pescatori”.

La Farnesina lavora per la liberazione, ma per questa donna battagliera di Mazara del Vallo, che in mare ha già perso un figlio 24 anni fa, le trattative procedono troppo a rilento. Il generale ha promesso al suo popolo che non libererà i pescatori finché Roma non aprirà le porte del carcere a quattro calciatori libici, condannati per aver provocato la morte di 49 migranti nel naufragio di un barcone nel 2015. Le famiglie, dal canto loro, pressano Palazzo Chigi. “Se non saranno a casa entro Natale torneremo a Roma a protestare”.

E’  una storia di gambero rosso e di oro nero. Di ostaggi usati come bottino da mettere all’asta. Il generale Haftar  cerca un appiglio per non finire definitivamente scaricato dai protettori russo-egiziani – emirati. Da oltre novanta giorni 18 pescatori mazaresi sono prigionieri del “signore della guerra” Khalifa Haftar. L’Italia umiliata. La vicenda dei pescatori prigionieri a Bengasi rappresenta dopo oltre tre mesi una severa umiliazione per il nostro Paese, tagliato fuori come l’intera Europa dalla lista delle potenze che esprimono un’influenza sul processo di pace libico.La loro liberazione in seguito a uno scambio con i quattro trafficanti-calciatori detenuti in Italia rappresenterebbe una soluzione utile a riportare finalmente a casa, dalle loro famiglie, i nostri connazionali ma costituirebbe allo stesso tempo uno smacco ulteriore per la già compromessa credibilità dell’Italia.La mediazione è difficile.

Il generale ribelle, che dopo aver fallito l’assalto a Tripoli sta tentando di riguadagnare peso, sta giocando la carta dello scambio di prigionieri, assicurando di voler riportare a Bengasi quattro libici arrestati in Sicilia cinque anni fa, condannati a 30 anni ciascuno in primo e in secondo grado a Catania per la morte in mare di 49 migranti nel 2015. Uno scambio impraticabile per l’Italia. All’inizio sembrava solo un modo per alzare il prezzo del rilascio, ma ora lo stesso Haftar è ostaggio delle sue promesse alla popolazione.

Fonti ben informate riferiscono che i quattro calciatori sarebbero i rampolli di importanti leader di tribù che sostengono Haftar: motivazione valida a mobilitare il generale per uno scambio di ostaggi che rinnova un modus operandi molto in voga anche in Europa nei secoli scorsi ma ancora diffuso e attuale nel mondo arabo. Valutazioni che non possano però sottrarci dall’osservare che la liberazione di criminali condannati dalla giustizia italiana per uno scambio di ostaggi potrebbe costituire un precedente pericoloso.

Quante organizzazioni jihadiste, terroristiche o criminali, internazionali o che pure abbondano entro i nostri confini nazionali, potrebbero domani trovare conveniente sequestrare liberi cittadini, giornalisti, funzionari dello Stato o lavoratori chiedendo di barattarli con ergastolani, boss in isolamento carcerario o persino ruba galline e criminali senza storia la cui liberazione stia a cuore a parenti e compari. A Mazara non è passato un giorno senza che i familiari dei 18 pescatori sequestrati  non abbiano fatto appello all’Unità di crisi della Farnesina, al Ministro degli Esteri, al Governo, per chiedere notizie sul rilascio e sulle trattative.

Il loro grido, però, è ancora inascoltato. Non bastano le rassicurazioni della Farnesina che ha garantito che gli uomini sono “in buone condizioni di salute”. Non basta sapere che, secondo fonti non confermate dal Ministero, lo scorso 20 ottobre sarebbe dovuto iniziare il processo a loro carico. Un processo mai iniziato, ma nessuno sa il perché. La telefonata dello scorso 11 novembre in cui i marittimi mazaresi hanno potuto dialogare con i loro familiari ha lasciato anche uno strascico e non di poco conto.

Riguarda gli altri 10 componenti l’equipaggio , 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 indonesiani che non avuto la possibilità di mettersi in contatto con i loro figli, mogli, padri. Il ministro Di Maio ha promesso  “fra qualche giorno”.Di giorni ne sono passati 23 ed una giovane tunisina figlia di un marittimo dice: “Mio padre è da 46 anni a Mazara. Noi siamo nati a Mazara e mio padre lavora qui a Mazara. Sono una  cittadina di questa città, perché non posso parlare con mio padre?”. Qualche giorno fa è stato sancito un accordo per  il rafforzamento della cooperazione tra Italia e Libia (quella di Tripoli) in ambito Difesa.

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si è incontrato con il  ministro della Difesa del Governo di Accordo Nazionale della Libia Salahuddin Al-Namroush.  I due ministri hanno siglato un “Accordo tecnico di cooperazione militare congiunta”, inerente diversi ambiti, che rinnova un’intesa del 2013. L’Italia ha in programma di continuare ad aumentare gli stanziamenti alla Guardia Costiera libica: 3 milioni in più nel 2020, per un totale di 58,28 milioni di euro diretti alle autorità libiche, che portano il costo sostenuto dai contribuenti italiani a sostegno dell’accordo Italia-Libia, siglato nel 2017, a 213 milioni di euro.

Tutto ciò, nonostante si continui a morire lungo la rotta del Mediterraneo centrale - con oltre 230 vittime dall’inizio dell’anno - e nonostante numerose inchieste e testimonianze abbiano confermato il coinvolgimento della Guardia Costiera libica nel traffico di esseri umani. E poi c’è l’impatto dell’emergenza covid19 nei centri di carcerazione. In questo momento a preoccupare sempre di più è proprio la situazione sanitaria nei centri di detenzione dove si vive ammassati, in condizione di vera disumanità; un allarme rilanciato pochi giorni fa anche da Papa Francesco.

Venerdì sera, nella rubrica TV7 di Rai 1, trasmessa dopo mezzanotte, è stato raccontato, con interviste, tutto quello che già abbiamo raccontato in questi tre mesi, ci aspettavamo qualche  intervista con Di Maio, Conte o qualche funzionario che la sa lunga, qualche novità sul processo, sullo scambio di prigionieri, del peso della nostra diplomazia e dei Paesi amici di Haftar, invece le telecamere hanno ripreso il dolore e l’angoscia dei familiari. Un’occasione mancata. Nelle famiglie dei marittimi e degli stessi 18 protagonisti c’è tanta rabbia e immensa speranza e pazienza senza fine.

Quando l’incontro con Haftar? Salvatore Giacalone          

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