Il dramma di un imprenditore mazarese, una storia fra tangenti, mafia, burocrazia e giustizia lumaca.

Redazione Prima Pagina Trapani
Redazione Prima Pagina Trapani
16 Marzo 2019 15:35
Il dramma di un imprenditore mazarese, una storia fra tangenti, mafia, burocrazia e giustizia lumaca.

Quella che vi stiamo per narrare è la complessa, e drammatica, vicenda che ha visto protagonista l’imprenditore mazarese Vito Quinci nel suo progetto di realizzazione di due strutture ricettive nel territorio di Campobello di Mazara. Una vicenda intrigata e che fa molto riflettere mettendo in evidenza le difficoltà burocratiche e lo scontro con certi ambienti, nel caso particolare vicinissimi alla mafia e al sodalizio del boss latitante Matteo Messina Denaro. Altra riflessione sui tempi e modalità della giustizia italiana e sulla sovente sfiducia, indifferenza, e addirittura sospetto, che si innesca, a partire dalla cosiddetta “società civile”, di fronte a chi ha il coraggio di denunciare richieste di estorsione e intimidazioni.

Come se non bastasse vi è il “fuoco amico”, quell’altro ramo della giustizia che non avrebbe tenuto conto delle grosse difficoltà economiche da parte della stessa vittima di estorsione che ha dovuto registrare non solo l’arresto della propria iniziativa imprenditoriale ma anche l’intrapresa di una procedura fallimentare a proprio carico. Di tutto questo il mazarese Vito Quinci non si è fatto mancare proprio niente. Ripercorriamo la sua vicenda iniziata circa 20 anni fa e più volte affrontata in questi ultimi anni dalla nostra redazione, a partire dai recenti risvolti giudiziari.  (in foto collage copertina l'imprenditore Vito Quinci ed i suoi progetti rimasti incompiuti).

Qualche giorno fa infatti la Cassazione ha reso definitiva la sentenza con cui, il 24 aprile 2018, la prima sezione penale della Corte d’appello di Palermo confermò la condanna (a tre anni e mezzo di carcere), inflitta il 9 febbraio 2015 dal Tribunale di Marsala, all’ex consigliere comunale di Campobello di Mazara, Antonino Di Natale per “induzione indebita a dare o promettere utilità”. Per lo stesso reato, sia in primo grado che in appello, fu condannato (due anni, con pena sospesa) anche un altro ex consigliere comunale campobellese, Giuseppe Napoli che però non fece ricorso in Cassazione.

Di Natale e Napoli avrebbero preteso dal Quinci una “mazzetta” da 21 mila euro per far approvare, in Consiglio comunale, la delibera relativa alla concessione edilizia chiesta dalla società “Il faro” per la realizzazione di un albergo con 748 posti letto da costruire, su un’area di circa 80 mila metri quadrati, nella frazione balneare di Tre Fontane (vedi foto n.2 del progetto).

Di Natale (coinvolto anche nelle indagini sulla famiglia mafiosa campobellese) e Napoli furono arrestati nel maggio 2010 dalla Guardia di Finanza ma la suddetta struttura alberghiera non si realizzò e con essa neanche un’altra struttura dello stesso Quinci attraverso la società "Trefontane Family srl", un resort di 20 appartamenti per il quale lo stesso Quinci aveva ricevuto un finanziamento di circa 3 milioni e mezzo di euro. Come detto Quinci infatti incontrò molte difficoltà su più fronti.

Oltre ai due consiglieri comunali, denunciò anche l’ex sindaco di Campobello di Mazara Ciro Caravà (deceduto il 29 settembre 2017) perché questi, nel 2005, quando era consigliere comunale, gli avrebbe chiesto una tangente per circa 30 mila euro per votare in Consiglio comunale la delibera relativa al progetto. Nel 2015 Ciro Caravà, processato con Di Natale e Napoli, fu condannato dal Tribunale di Marsala a 4 anni e mezzo di carcere per concussione. Poi, la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato il “non doversi procedere” per morte dell’imputato che il 6 febbraio 2014 era stato assolto dal Tribunale di Marsala dall’accusa di concorso in associazione mafiosa per la quale era stato arrestato nel dicembre 2011; il suo l’arresto diede il via al Commissariamento del Comune di Campobello  fino alle elezioni Amministrative del 2015.

Parallelamente all’iter processuale relativo alla sua denuncia lo stesso imprenditore (per il quale dopo la denuncia fu predisposto un servizio di protezione) ha iniziato ad avere grossi grattacapi con la burocrazia italiana; senza contare che in questi anni lo stesso Quinci ha denunciato diversi atti intimidatori (vedi anche incendi di natura dolosa) all’interno dell’area del complesso alberghiero mai avviato.

(in foto n.3 incendio ad un contatore). Così nell’agosto del 2010 la Prefettura di Trapani (a seguito anche di una lettera attraverso la quale Quinci raccontò la tormentata storia dei due suddetti progetti presentati a partire dal 2000), su parere conforme del procuratore di Marsala, ammise Quinci al beneficio previsto dalla legge antiracket, che prevede la sospensione per 300 giorni di tutte le procedure civili e dei pagamenti. Ma, nonostante questo, a dicembre dello stesso anno un giudice del tribunale marsalese dichiarò il fallimento delle sue società, non tenendo in alcuna considerazione i fatti denunciati.

Così iniziò il calvario giudiziario dell’imprenditore che poi però fu assolto con formula piena dalla Corte di appello di Palermo con la revoca del fallimento di due sue società (Opus e Mokarta costruzioni). Ad agosto del 2013 però Quinci, a causa dei termini imposti dalla legge, non potè più usufruire della nuova sospensione dei pagamenti concessa dalla Procura di Marsala. Così gli esattori tornarono alla carica. Quinci nel frattempo non aveva potuto avviare la sua attività alberghiera non avendo ricevuto dalla Commissione prefettizia di Campobello quella stessa concessione richiesta al tempo della sindacatura Caravà e per al quale gli era stata chiesta una tangente.

Pertanto l’imprenditore non aveva potuto pagare i creditori che hanno dal canto loro avviato procedure giudiziarie. Il 14 gennaio 2014 Quinci ebbe pure la brutta sorpresa di trovare i sigilli (vedi foto n.4) del Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Marsala alle villette del complesso “Tre Fontane Village”.

Ciò è avvenuto a seguito dell’azione di creditori dopo che dall’agosto del 2013 Quinci non aveva potuto più beneficiare della suddetta legge antiracket. Il giorno dopo però il Tribunale accogliendo la richiesta dei legali di Quinci, l’avvocato Marco Zummo e Fausto Maria Amato (Sicilia Consulenza), tolse i sigilli alle villette del complesso di cui nove già vendute da Quinci. Nel corso del lungo processo a seguito della sua denuncia per estorsione, Quinci citò il collaboratore di giustizia palermitano Vincenzo Gennaro in merito al presunto disegno per far fallire le sue attività per permetterne l’acquisizione, probabilmente sotto prestanome, al patrimonio del clan di Matteo Messina Denaro.

“Sono trascorsi ben 19 anni dalla prima denuncia. La cosa assurda –dichiara adesso Quinci- che a seguito delle mie denunce e agli arresti, le mie proprietà stanno per essere vendute all’asta. Il mio progetto di complesso alberghiero fu ostacolato dall’ex sindaco Caravà e dai suoi consiglieri perché al confine della nostra struttura doveva sorgere il villaggio Valtur. Questa storia non riguarda soltanto me ma appartiene a tutti quelli che credono nella legalità, non si può continuare così.

Il mio calvario –ha aggiunto Quinci- è stato a causato da una legge che non tutela effettivamente quanti hanno denunciato estorsioni o vittime di usura. E pensare che l’unica mia colpa –ha concluso Quinci- è stata quella di voler contribuire allo sviluppo turistico ed occupazionale del territorio sul quale però a quanto pare grava un macigno culturale e sostanziale, una sorta di lobby di poteri che non permette lo sviluppo della libera impresa. La giustizia dovrà pur esistere.

Ringrazio "Sos impresa", associazione antiracket che mi ha assistito negli anni fin dalla mia denuncia e si è costituita parte civile nei miei circa 200 processi ”. Francesco Mezzapelle

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza